Una stanza tutta per sé

Il primo post, che emozione!

In realtà credo di essere a quota 200 sul buon vecchio sito blogspot.it, che ho deciso di abbandonare. Non me ne voglia, mi ha fatto compagnia per 7 anni, e sono stati dei bellissimi anni. E’ che nella vita bisogna cambiare, e quindi mi trasferisco su WordPress. Cercherò di trasferire anche i miei migliori vecchi post – migliori secondo i miei gusti, quelli a cui ci tengo di più – nelle giornate in cui l’ispirazione non sarà a livelli invidiabili.

E con cosa meglio cominciare, se non con l’ultimo argomento che mi tiene occupata la mente da un po’ di giorni?

In questo momento sono seduta a letto nella mia stanza, con il pc sulle gambe, con il cane che dorme vicino a me. Una scena normale, no? Non ci trovate niente di strano, è cosa comune stare tranquilli nella propria stanza, fare quello che si vuole, leggere, scrivere, ascoltare la musica o qualsiasi altra cosa. Sono d’accordo con voi, e questo perché ci troviamo nel 2014.

Ma se andiamo indietro nel tempo di poco più di un secolo, la scena che vi ho appena descritto può diventare un lusso. Soprattutto per una donna. Soprattutto per una donna che ha qualcosa da dire, e lo vorrebbe fare scrivendo.

Questo perché se io fossi costretta a passare le mie giornate in soggiorno, dove la gente entra ed esce continuamente, sotto gli occhi di tutti, e se cercassi di dedicarmi alla stesura delle mie idee, o più banalmente dei miei pensieri, questo diventerebbe impossibile. Verrei interrotta di continuo. E vi dirò di più – verrei derisa per quello che starei facendo. Nessuno mi darebbe il suo supporto, nessuno capirebbe il mio desiderio di scrivere perché dentro di me c’è un talento che non ne vuole sapere di stare zitto. A nessuno importerebbero le mie idee, il mio presunto talento ancor meno.

E stiamo parlando di un secolo e mezzo fa. Non è poi così tanto, non è vero? Eppure era così, e tutto viene spiegato molto meglio di quanto lo abbia fatto io, con esempi molto più concreti, seguendo un filo logico che non trova ostacoli, da Virginia Woolf nel suo libro “Una stanza tutta per sé”. Il libro parla del rapporto tra la donna e il romanzo, e non può non soffermarsi sul rapporto tra uomo e donna durante i secoli. Le due cose sono più correlate di quanto si possa immaginare.

“Se vuole scrivere romanzi, una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé.” La questione del denaro non credo di doverla nemmeno spiegare. E’ chiaro quanto sia importante avere le “spalle coperte” e potersi dedicare tranquillamente al proprio tempo senza preoccuparsi della cena o di altri impegni e problemi quotidiani.

Potrei parlare per ore della posizione della donna nella storia in confronto a quella dell’uomo, ma sono stati scritti centinaia di libri su questo argomento e basterebbe leggerne uno per scoprire come stavano le cose. La donna è stata sempre considerata inferiore intellettualmente e fisicamente, le sono stati assegnati compiti privi di responsabilità, le è stata affidata la vita domestica come unica occupazione nella sua vita. Non è mai stata presa in considerazione dall’uomo, eppure per secoli l’uomo non ha fatto altro che scrivere romanzi sulla donna. Piuttosto strano come fatto, non è vero?

Io e Virginia abbiamo avuto un tentativo d’approccio circa 3 anni fa, quando comprai “Gita al faro” e tentai di leggerlo. E ammetto di averlo abbandonato dopo una trentina di pagine, ed è stato l’unico libro che non ho mai portato a termine nella mia storia di lettrice (abbastanza) affamata. Con “Una stanza tutta per sé” ho rotto il ghiaccio, e parte di questa conquista la devo ad un corso frequentato all’Università che me l’ha presentata nel modo in cui avrei dovuta conoscerla 3 anni fa. Virginia va letta attentamente perché è piena di furbizia, fa delle frasi lunghissime perché segue più i suoi pensieri che la costruzione della frase (che ne riesce comunque perfettamente intatta), fa dei ragionamenti impeccabili che solo chi ha pazienza riesce a capire. Non fate come me 3 anni fa. Andate avanti nella lettura, andate oltre le prime 20-30 pagine, entrate nel gioco di parole che vi propone, cercate di leggere anche fra le righe, e di sicuro vi rimarrà qualcosa di quello che avete letto. E io, di sicuro, tenterò di nuovo di leggere “Gita al faro”, convinta già da adesso di arrivare fino all’ultima pagina.